Stefano, dove tutti fuggono, va

In certe situazioni, dove le condizioni ambientali impediscono ad altri di accedere perché ne andrebbe della propria incolumità, è la mano tesa di questi soccorritori l’unico aggancio alla vita e questo talvolta ha il peso di una responsabilità incommensurabile che tutti ci sentiamo addosso e che non vogliono assolutamente tradire.”

terremoto amatriceNon sono coraggiosa, anzi, al contrario, mi definirei prudente o più realisticamente “fifona”. Dopo un mese che eravamo a Pesaro, nell’agosto del 2016, sentimmo con forza le scosse del terremoto che distrussero Amatrice e colpirono diversi paesi delle Marche. Ancora di più quelle che tornarono a farci  sussultare ad ottobre. Provai dolore per le numerose vittime e angoscia per coloro che, in pochi minuti, persero tutto. Rimase anche l’egoistico timore, ogni volta che solo sembrava la terra tornasse a tremare. Proprio in quei mesi ho avuto la fortuna di conoscere chi ha vissuto in prima persona, con ben altro coraggio e impegno, quegli eventi e altri che nel passato hanno sconvolto il nostro paese: Stefano Zanut, vice dirigente del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco. Centinaia di interventi alle spalle e sempre operativo. Ricordo il nostro caffè nel caos della mia cucina, per cercare di organizzare la presentazione del suo libro Cronache dalle macerie, pubblicato nel settembre del 2017. Ha raccolto le testimonianze dei colleghi vigili del fuoco, impegnati proprio nei territori colpiti dal sisma del 2016. Non sono riuscita a presentarlo in città, ma ho continuato a seguire il lavoro di Stefano che poi è quello di coloro che non si fermano mai, donandoci una delle poche preziose certezze nei momenti di paura e di difficoltà. Gli ho chiesto di raccontarsi: dal primo incendio domato al terremoto dell’Aquila a quello di Amatrice fino agli interventi dopo il crollo del Ponte Morandi. Mi ha fatto un grande regalo che giro a chi legge: la memoria sincera di ricordi e di emozioni oltre a riflessioni fondamentali sulla sicurezza. Ha temuto la lunghezza, mentre io la considero un dono, per capire, ancora di più, quanto dobbiamo a chi, dove tutti fuggono, va e rimane anche quando l’attenzione non c’è più: i nostri vigili del fuoco.   

La traccia: mani, occhi, cuore dalle macerie alla luce.

“Da bambino mi interessavano le stelle e volevo diventare un astronomo. Il primo contatto con il mondo dei vigili del fuoco si realizzò a 8 anni, quando, nel buio di una serata invernale, sui vetri della finestra si riverberava un’intermittenza di luci blu e alcune persone con la divisa verde e un cappello nero si muovevano freneticamente vicino casa, ma non capivo perché. Luci di fotoelettriche illuminavano a giorno la zona e rumori di motori accesi tenevano desta l’attenzione di tutto il vicinato. Il mattino successivo mi svegliai con la curiosità di vedere cosa fosse rimasto di tutto quel trambusto, ma non trovai più nulla, quasi fosse stato uno strano sogno. “È crollata una gru”, mi spiegò poi mio padre, “e i pompieri hanno lavorato tutta la notte per salvare il muratore travolto”. Avevo altro a cui pensare allora e dimenticai velocemente quei momenti.”

terremoto 76“Qualche anno dopo incontrai le stesse divise verdi con il cappello nero, che nel frattempo era diventato un casco, a Trasaghis, in Friuli, mentre con i compagni di classe cercavo di aiutare gli abitanti del posto colpiti dal tremendo terremoto del 6 maggio 1976. Anche in quell’occasione “loro” erano distanti da me, si muovevano sulle macerie di case distrutte, lavoravano sui tetti, operavano con le autogru e facevano molte altre cose, io più semplicemente trasportavo tavole di legno da un posto all’altro con la consapevolezza e l’orgoglio di dare un semplice aiuto. Poi non so bene per quale misterioso arcano quel mondo cominciò ad avvicinarsi, forse perché nel frattempo anche mio fratello era diventato “uno di loro” portando a casa ogni giorno i racconti delle gesta sue e dei compagni della squadra, facendo acquisire a quegli uomini con la divisa verde e il casco nero, che ora stava diventando tra le mie mani un elmo, una dimensione più concreta.”

“Senza rendermene conto sono stato coinvolto in un mondo che avrei scoperto giorno dopo giorno in un percorso di crescita continua al servizio degli altri. All’inizio di questa strada mi sono anche ritrovato a fianco di alcuni dei colleghi intervenuti in occasione del crollo della gru in quella lontana notte invernale: incredibilmente facevo parte della loro squadra. Il racconto di quei momenti sarebbe diventato la trama di molti altri a cui avrei partecipato anch’io e dove sarebbero cambiate attrezzature e tecniche, ma non certamente la dimensione umana del loro e del mio modo di lavorare. In ogni caso continuo a guardare le stelle, che nel frattempo sono anche diventate compagne di notti trascorse con i colleghi a soccorrere.”

Il primo intervento

stefano giovane“Penso che sia impossibile ricordare tutte le situazioni incontrate in anni lavoro, però alcune più di altre sono riuscite a lasciare un segno indelebile nella mia memoria. Talvolta ritornano alla mente con ilarità e un sorriso, ma sono certamente quelle in cui il vigile del fuoco incontra la sofferenza a incidere maggiormente. Ecco perché se penso al primo intervento torno a una domenica mattina di un tardo autunno, quando prestavo servizio come “discontinuo”, ovvero chiamato per periodi limitati di tempo. Avevo appena cominciato e stavo controllando le attrezzature, quando dall’altoparlante che attiva le partenze arriva la segnalazione di un’auto caduta in un canale. Sul posto se ne intravvedeva solo il tettuccio e nessuno sapeva dare altre indicazioni al riguardo, l’aveva notata un cacciatore che passava di lì per caso. Faceva freddo, la nebbia pervadeva ogni cosa ed entrambi s’intromettevano sgradevolmente nella divisa. Sulla strada sterrata rimanevano i segni delle ruote che improvvisamente curvavano verso quell’acqua gelida. Non avevo ancora esperienza in interventi di questo tipo e cercavo di carpire qualcosa dal comportamento dei colleghi e dalle indicazioni operative del capo squadra. Tutto era per me nuovo e non avevo idea di come si sarebbe potuto evolvere. Poco lontano si era formato un gruppo di persone che seguiva la nostra autogru mentre lentamente estraeva l’auto dal canale.”

“Ricordo la mano del capo squadra sulla spalla e la sua gentilezza nell’invitarmi ad allontanarmi, poi tutto si è sviluppato con velocità impensabile: l’auto è arrivata a terra, i colleghi hanno aperto le porte e, assieme all’acqua, sono usciti i corpi di due ragazzi mentre dall’altra parte stavano arrivando, correndo, un uomo e una donna che parlano a voce alta, forse gridando. Seppi solo il giorno dopo i nomi e l’età: era la mia! Nel 2009 a L’Aquila avrei vissuto la stessa scena, circondato dalle rovine della città. Con una maturità diversa e a distanza di tanti anni e tanti chilometri: non si è mai abbastanza pronti a vivere esperienze del genere che lasciano un solco profondo nel cuore. Per un attimo mi è tornata alla mente quella prima esperienza: è difficile dimenticare.”

Il battesimo del fuoco

stefano incendio“Arriva poi anche l’ora del primo grande incendio, l’evento che nell’immaginario collettivo rappresenta la vera attività dei vigili del fuoco. È il momento che aspettiamo tutti e di quello potrei raccontare i primi istanti fin nei minimi dettagli, tanto è forte il ricordo. L’automezzo sfrecciava nella città chiedendo strada con la sirena e mentre indossavamo il giaccone d’intervento, il casco e l’autorespiratore, il capo squadra ci dava le indicazioni su come disporsi una volta arrivati sul posto. Sullo sfondo la radio ci aggiornava sull’evoluzione dell’incendio in base alle molte telefonate ricevute. Avevo capito che si trattava di un evento complesso e cercavo qualche riferimento che mi facesse capire cosa mi aspettasse, ma la corsa continuava e vedevo le auto spostarsi ai bordi della strada per lasciar passare l’APS (l’Autopompa Serbatoio, il mezzo di prima partenza). L’emozione era alle stelle e percepivo chiaramente che questo sarebbe stato un vero e proprio battesimo del fuoco. Arrivato sul posto ho capito subito che non era quello che pensavo, ma peggio, però non avevo certo intenzione di farmi fregare dalle fiamme che uscivano da ogni finestra e dal tetto fino a raggiungere il cielo. Così, appena sceso dal mezzo e steso le manichette, cominciai a correre e spostarmi in continuazione in funzione di come l’incendio si stava propagando. Ero teso e non avevo nemmeno il tempo per prendere il fiato, ma è stata l’adrenalina ad aiutarmi. Poi sono arrivate le altre squadre e l’attacco all’incendio è diventato più massiccio: molti erano i colleghi che correvano con me ed io con loro, una sensazione bellissima. Forse è stato in quel momento che ho percepito chiaramente quel senso di appartenenza che mi avrebbe accompagnato negli anni successivi, ritrovandolo in molti altri interventi.” 

L’unione fa la forza

“Si corre assieme, nella stessa direzione e con lo stesso obiettivo, una condizione che si realizza anche con persone di volta in volta diverse. Il caso tipico è quella di una maxi emergenza dove convergono operatori provenienti da varie parti del paese e talvolta molto lontane tra loro. Le divise, la struttura organizzativa e le modalità operative sono le stesse, tanto che sembra di lavorare da sempre con loro e in un batter d’occhio si attivano relazioni che, in altre circostanze e con persone diverse, richiederebbero molto più tempo. La stessa condizione si ripete nella squadra, l’unità fondamentale dei vigili del fuoco. Quando ci lavori all’interno capisci quanto siano importanti le regole e la capacità di lavorare assieme, condividendo competenze e professionalità in un giusto mix condito di empatia: la squadra diventa la rappresentazione concreta del detto “l’unione fa la forza”. Ma questa forza, sia chiaro, non è solo il risultato di capacità fisiche o disponibilità tecnologiche, ma anche di sguardi, abbracci e pacche sulle spalle, dialoghi pieni di emotività e tensione, talvolta lacrime condivise in silenzio, ma anche sorrisi. Ecco, quando riesci a percepire tutto questo sei anche consapevole di quello che stai facendo e con chi. Ovviamente ognuno ha i propri tempi e il proprio percorso di maturazione su questi argomenti, ma senza dubbio è fin dai primi interventi che capisci dove sei capitato e quali sono le regole del gioco.”

stefano twin towers“Sono emozioni che nell’epoca dei social media riescono a superare lo spazio e il tempo di un evento. Prima, infatti, l’esperienza del servizio restava patrimonio delle poche persone che l’avevano vissuta, così come i sentimenti che attivava, ora diventa facilmente subito patrimonio di tutti, nel bene e nel male. Ci sono poi degli eventi che acquistano maggior rilevanza di altri facendo così impennare l’attenzione verso alcuni aspetti che inevitabilmente interessano la società globale. Senza dubbio il capostipite di questi è stato l’attentato alle Twin Towers del 2001, diventato un vero e proprio simbolo per chi fa questo lavoro. In quell’occasione molti vigili del fuoco persero la vita, anche se non furono gli unici a sacrificarsi per salvare le persone da quello scenario apocalittico. È forse allora che il mondo si rese conto di cosa vuol dire fare soccorso al giorno d’oggi e chi sono i vigili del fuoco, a prescindere dal paese di appartenenza o dal colore della pelle di chi indossa quella divisa.”

“Poi gli eventi di casa nostra hanno incrementato questa attenzione anche tra le persone a te vicine, quelle che incontri tutti i giorni. L’immagine dei vigili del fuoco tra le macerie della Casa dello studente, a L’Aquila, o a Onna, sulle case crollate di Amatrice o Pescara del Tronto, sotto il peso della neve in centro Italia o nei pertugi lasciati dalle rovine dell’albergo di Rigopiano a gridare “c’è qualcuno?”, per poi uscirne con un bambino ancora vivo e poi un altro e altre persone ancora.”

stefano ciro“Sono patrimonio di tutti i dialoghi con Ciro, il bambino rimasto sepolto dal crollo della propria casa dopo il terremoto di Ischia, così come le immagini che lo ritraggono mentre viene estratto vivo dalle macerie assieme ai due fratellini. Li abbiamo visti anche inconsapevoli protagonisti tra lamiere accartocciate di terribili incidenti ferroviari, ma anche appesi ad ogni elemento utile che li aiutasse nel soccorso in occasione del crollo del ponte Morandi a Genova.”

“Queste sono solo le punte di un’incessante attività quotidiana al servizio di chi chiede un aiuto e che ha visto effettuare su tutto il territorio nazionale ben 755.379 interventi nel 2018, una media di circa 2.000 al giorno. E’ difficile non incontrare l’aiuto di un vigile del fuoco quando la nostra società lo richiede così frequentemente.

Certo che più ne parli più aumenta l’orgoglio di portare questa divisa, quella che il Presidente Mattarella ha definito “il simbolo di istituzioni al servizio della comunità. […] un patrimonio da salvaguardare perché appartiene a tutti i cittadini”.

stefano morandiDurante la missione a Genova, in occasione del crollo del ponte Morandi, le persone che incontravo nei pochissimi momenti in cui riuscivo a staccarmi dallo scenario, perché nel frattempo avevo ricevuto il cambio da altri colleghi, si fermavano per stringermi la mano e ringraziarmi. Non riuscivo a pagare un semplice caffè, eppure eravamo in quella Genova che nell’immaginario è parca su queste cose. Non era sicuramente me che ringraziavano, ma ciò che rappresentavo. In quei momenti si rafforzava il senso di appartenenza ma sorgeva anche un certo imbarazzo, tanto che al ringraziamento di una signora non seppi che rispondere “grazie a lei”, quasi fossero dei semplici auguri. Lei contraccambiò con un bel sorriso aggiungendo “e grazie a lei per avermi ringraziata!”.

 Cronache dalle macerie

stefano copertina libro“Raccontare le nostre storie quando s’intrecciano con quelle delle persone che aiutiamo era un’esigenza che da tempo stavo cercando di soddisfare, la consideravo un’occasione per svelare tratti di un’umanità in emergenza che spesso sfuggono ai cronisti. Non saprei dire cosa sia successo questa volta, sta di fatto che in poco tempo sono riuscito a concretizzare questa idea ascoltando e condividendo i racconti delle squadre che si alternavano nelle zone del centro Italia colpite dal terremoto. Alla fine, poi, non è stato nemmeno difficile trascriverle, ricche com’erano di spunti che non si potevano perdere, e il contenitore in cui riporle, il libro, aveva già il titolo: “Cronache dalle macerie”. Ma ciò che realmente mi resta di questa esperienza non sono tanto le pagine scritte quanto la possibilità di conoscere meglio i colleghi attraverso i loro racconti e la condivisione del loro vissuto personale. Mi sento ora in qualche modo custode di tutto ciò e ne sono infinitamente orgoglioso.”

 

“Tra i tanti ricordi è difficile sceglierne solo alcuni che sappiano rappresentare l’intensità di quei giorni. Ci provo. Il primo è senza dubbio il silenzio che ci accompagnava nelle zone operative. In certi momenti si udiva solo il rumore dei detriti che cedevano sotto il nostro passo e la suggestione di questo silenzio che pervadeva tutto era così forte, così invasiva, che avevamo perfino l’imbarazzo di parlare.

stefano arquata del tronto

Il secondo è rappresentato dagli oggetti della vita quotidiana che s’intravvedevano tra i detriti: giocattoli, libri ed altro che ti veniva voglia di raccogliere e mettere da parte, per poi riconsegnarli ai legittimi proprietari. Inevitabilmente ti facevi carico di storie che sarebbero rimaste sconosciute. È Salvo ad esprimere questi concetti in un capitolo del libro: “Di solito le macerie noi le vediamo in televisione, da lontano, filtrate, ma quando ti ci trovi sopra, quando ci cammini in mezzo, quando le calpesti e ci guardi dentro, vedi gli stessi oggetti che possiedi nella tua cucina: la stessa marca di pasta, la stessa scopa, lo stesso barattolo di zucchero. E se capitasse a me? pensi. Dentro quelle macerie ci sono gli stessi oggetti che circondano la mia vita.”

Il terzo è legato alla polvere: quella dei primi giorni sollevata dalle macchine operatrici che spostavano le macerie e quella dei crolli degli edifici causati dalla scossa del 30 ottobre 2016. In quel momento mi trovavo sulla Salaria e con Roberto stavo rientrando dopo una settimana di missione trascorsa tra Visso ed Arquata del Tronto. A stento siamo riusciti a controllare il mezzo e, una volta scesi, tutto intorno si percepiva un rumore incredibile, come se migliaia di piatti stessero cadendo a terra frangendosi, seguito da colonne di polvere che s’innalzavano dalle colline. Poi quel cupo e inquietante brontolio che si allontanava da noi lungo la valle del Tronto e di nuovo quel silenzio dei primi giorni. “La polvere e le maceria”, si legge nel libro, “ci avrebbero accompagnato per tutti i giorni di quella missione; la polvere, in particolare, avvolge tutto e si deposita ovunque, anche sugli uomini di cui ormai non si riesce nemmeno a distinguere la divisa. È lei che, al primo colpo di tosse, ci mette in guardia sulle regole del gioco.”

stefano croce rossa“I vigili del fuoco sono soccorritori e il loro lavoro si realizza primariamente nell’intervenire nelle prime fasi di un’emergenza, in sostanza quando ci sono persone da salvare, ma tutti siamo ben consapevoli che l’emergenza stessa non finisce quando si completano queste attività, perché lascia un’eredità che forse solo chi l’ha vissuta o la sta vivendo può capirla.

In un terremoto, ad esempio, le nostre attività proseguono per molto tempo a supporto della popolazione che ne ha subito le conseguenze, anche se l’attenzione dei mass media si spegne molto prima. In sostanza un’emergenza finisce quando la vita riprende nella sua pienezza in un percorso in cui i vigili del fuoco svolgono le proprie funzioni nell’ambito del sistema nazionale di Protezione civile.” 

Successi e fallimenti

In ogni esperienza che affrontiamo è sempre in agguato il timore di una sconfitta mentre non è facile definire un successo rispetto a quanto fatto. Un risultato positivo dà un importante contributo allo spirito della squadra in cui ognuno dà il proprio contributo. È in questo modo che fluisce quell’energia positiva di cui c’è bisogno per affrontare altre situazioni: è il carburante del soccorritore. L’euforia del successo è anche gradevolmente contagiosa e coinvolge tutti, non solo chi ha partecipato direttamente all’intervento. Per far capire questo provo a raccontare un episodio che mi ha recentemente coinvolto.

Si tratta di un intervento in una fabbrica per soccorrere un lavoratore in arresto cardiaco, quando la squadra dei vigili del fuoco venne coinvolta perché gli equipaggi del 118 erano impegnati in altri interventi. La centrale operativa del soccorso sanitario era riuscita ad attivare la risposta dei colleghi del lavoratore che si trovavano vicino a lui, dando loro istruzioni per telefono in attesa dell’arrivo dei soccorsi. Riascoltando la registrazioni si percepisce la concitazione del momento, le prime operazioni compiute dai lavoratori di cui si respira la paura di sbagliare, perché c’è di mezzo la vita di un uomo. Poi l’arrivo della squadra e l’utilizzo del defibrillatore. Alla terza scarica la persona comincia a riprendersi e sullo sfondo ai avvertono chiaramente urla, mani che applaudono e rumori che fanno intendere abbracci. Poi l’equipaggio sanitario che arriva e completa le operazioni. La catena del soccorso aveva funzionato e l’entusiasmo era alle stelle, sicuramente chi fa questo lavoro si ricorderà di quegli stati d’animo quando, invece, non sarà riuscito a salvare una vita.”

“Il fallimento è invece più difficile da descrivere, è una presenza ineludibile nella storia professionale di ognuno di noi e con cui è sempre necessario fare i conti. Spesso lascia una sgradevole sensazione d’impotenza che va gestita con molta attenzione ed è per questo che cerchi di esorcizzarlo parlandone con i colleghi in modo da condividerlo ma anche essere pronto per la prossima occasione. Da qui la necessità di incontrarsi facendo diventare i debriefing operativi dei veri e propri momenti di supporto verso chi ha vissuto questa esperienza.” 

La sicurezza inclusiva

stefano elisabetta e debora“Nel soccorso ogni scenario d’intervento cambia rispetto ad un altro, così come diverse sono le persone da aiutare per età e abilità, alle quali cerchiamo sempre di dare il nostro aiuto in funzione delle loro specifiche necessità. La disabilità, in particolare, è una condizione spesso ignorata, lontana da noi quasi fosse alla periferia del mondo, eppure se ci guardiamo intorno non è proprio così. I dati proposti nel World Report on Disability del 2011 dicono che circa il 15% della popolazione mondiale vive con esperienze di disabilità, se poi la consideriamo come conseguenza di una complessa relazione tra la condizione di salute, i fattori personali e le circostanze in cui le persone vivono, tale percentuale aumenta perché ognuno di noi potrebbe trovarsi in condizioni critiche in un certo momento della propria vita, non ultima l’emergenza stessa, notoriamente capace di influenzare i comportamenti facendoci vivere, di fatto, condizioni che potremmo definire di disabilità transitoria. Per rimanere nel campo delle statistiche da un’indagine ISTAT riferita al 2013 emerge che in Italia circa 13 milioni di persone di 15 anni e più risultano avere limitazioni funzionali, invalidità o cronicità gravi, pari al 25,5% della popolazione residente di pari età (praticamente una persona ogni quattro!). E cosa dire, infine, delle persone anziane, dei bambini, delle persone che stanno vivendo una condizione post traumatica o ancora delle donne in gravidanza, tutte persone che in qualche modo non riescono ad interagire nel modo migliore con l’ambiente quotidiano eppure non sono classificate come disabili?”

“È partendo dalla consapevolezza che in una situazione di soccorso potremmo incontrare le necessità di queste che nel Copro Nazionale Vigili del fuoco sono sorte iniziative per garantire sicurezza e soccorso a tutte le persone. Abbiamo cominciato con la formazione del personale operativo in un percorso in cui sono state coinvolte anche le persone con disabilità tramite le loro associazioni, una sorta di partecipazione attiva al proprio soccorso. Parallelamente gli stessi aspetti sono stati considerati anche in ambito normativo. Pochi sanno, ad esempio, che nelle recenti norme di prevenzione incendi si parla ormai di “sicurezza inclusiva”, una modalità per certi versi innovativa rispetto altre legislazioni europee. Per gestire percorso tutto ciò è stato istituito uno specifico “Osservatorio sulla sicurezza e il soccorso delle persone con esigenze speciali” di cui oltre ai vigili del fuoco fanno parte anche esperti della materia e rappresentanti di FISH e FAND, i due grandi coordinamenti che coinvolgono le varie associazioni che operano sul territorio nazionale sui temi della disabilità. Abbiamo fatto sicuramente molto, ma ancora molto c’è da fare, a partire dal consolidamento di una cultura della sicurezza che sia veramente inclusiva: c’è molto entusiasmo sull’argomento e sicuramente nei prossimi anni saremo maggiormente incisivi, che fa rima con inclusivi, su questi argomenti.”

Stefano, uno di noi

Sembra che un vigile del fuoco non si fermi mai, forse un po’ è vero. Dove appendiamo la divisa, se l’appendiamo, alla fine del turno di servizio? È una domanda che indaga nell’intimità di ognuno di noi, in quella parte segreta che custodiamo con attenzione e a cui difficilmente permettiamo di accedere, penso però di non sbagliare se dico che nessun vigile del fuoco se ne starebbe senza far niente di fronte a una situazione di cui è consapevole di avere le competenze e le abilità per affrontarla. A una domanda del genere, quindi, sono i fatti a rispondere per me.

stefano colasanti-2Rispetto a quanto accaduto a Rieti ( il 5 dicembre del 2018 all’altezza di Fara Sabina nell’esplosione di una cisterna, Stefano Colasanti, vigile del fuoco, in quel momento non in servizio, è morto mentre stava comunque aiutando i suoi colleghi al lavoro ndr), non saprei dire molto in questo momento perché servirebbe una più chiara lettura dei fatti che onestamente ancora non ho. Posso però parlare di Stefano come collega, perché anche se non lo conoscevo era uno di noi. Come racconta la cronaca si era fermato, anche se libero dal servizio operativo, con la consapevolezza del fatto che la sua formazione e professionalità di vigile del fuoco avrebbero potuto servire in quella drammatica situazione.

Sicuramente anch’io avrei fatto la stessa cosa, come certo molti altri colleghi, ce l’abbiamo nel sangue ed è una cosa difficile da spiegare: quel “dove tutti fuggono io vado” fa parte di un modo di essere.

“Non si pensi che sia stata un’azione improvvisata e inconsulta, Stefano aveva l’esperienza di migliaia di interventi di soccorso affrontati nel corso della sua carriera, un’esperienza incommensurabile che continuava a crescere ancora intervento dopo intervento e che lo aiutava ad affrontare gli scenari più complessi. Era anche un capo squadra, un ruolo su cui grava la responsabilità dei risultati di un intervento, ma anche la sicurezza dei colleghi che lavorano con lui, e sicuramente avrà affrontato quell’ultimo ulteriore impegno con la stessa attenzione degli altri e considerando attentamente la sicurezza sua e delle altre persone. Poi, si sa, esiste sempre una quota di rischio ineliminabile che è sempre lì, dietro l’angolo, e talvolta si manifesta con modalità inaspettate.

Non riesco a trovare le parole giuste per descrivere tutto questo, allora uso quelle di Benedetta, sua figlia, che con inaspettata dolcezza ci racconta questo: “il pompiere paura non ne ha, ma io penso che papà abbia avuto tanta paura ma in quel momento il coraggio ha prevalso e voglio che ora prevalga su tutti, lui ne sarebbe contento”.

 Non siamo angeli

“La prevenzione è un aspetto di primaria importanza quando si considerano i temi della sicurezza e del soccorso, lo è sempre stato ma in questi ultimi tempi ce ne stiamo rendendo conto per una sorta di consapevolezza acquisita, nostro malgrado, per gli eventi che hanno coinvolto il Paese. D’altra parte il nostro territorio è una realtà complessa da molti punti di vista: geologico (basti pensare al dissesto idrogeologico, alle aree a rischio sismico e quelle dove sono presenti vulcani), insediativo (aree storiche che convivono con edifici di più recente realizzazione in un tessuto dove sono presenti aree edificate nello sviluppo un po’ caotico del secondo dopoguerra), industriale (si pensi alle realtà a rischio di incidente rilevante, ma anche altri complessi produttivi che impattano con il territorio circostanze), per finire con le infrastrutture viarie e dei trasporti che si inseriscono in un tessuto così sensibile.”

“Penso che la vulnerabilità del nostro sistema, senza dubbio legata anche alla sua complessità, stia amplificando a dismisura tali problemi e per questo è necessario cambiare verso un impegno per il futuro di gran lunga superiore a quello profuso fino ad oggi. Il soccorso, quel particolare aspetto della nostra attività che ci ha fatto guadagnare l’appellativo di “angeli”, non è altro che una dichiarazione del fallimento delle strategie preventive e in queste condizioni serve solo a ridurre i danni: oggettivamente una magra consolazione, anche se condotto bene. Per questo non possiamo essere “noi” il capro espiatorio per non fare prevenzione e nemmeno le strutture che si interessano di questi aspetti e di cui è ricco il nostro paese.

E allora, cos’è che non va?

Stiamo pagando le conseguenze di uno sviluppo forsennato e condotto senza alcun rispetto per il nostro pianeta, per il mondo che ci circonda, ed ora i nodi stanno venendo al pettine e le emergenze assumono una dimensione tale che, a detta di molti scienziati, difficilmente saranno contenibili se non vi poniamo rimedio al più presto.

Dobbiamo metterci tutti in discussione, cambiare registro e intervenire con un impegno risolutivo. “Anche se sapessi che domani il mondo potesse andare in pezzi, io sarei ancora qui a piantare il mio albero di mele”, diceva Martin Luther King, e la prevenzione potrà essere il nostro albero di mele.”

“Penso a quante tragedie potrebbero essere evitate. Come quella immane avvenuta nel locale di Corinaldo di cui si è detto molto attraverso testimonianze, dichiarazioni e analisi di grande interesse. I fatti sono abbastanza chiari così come la dinamica che ha condotto a quella situazione, tutti siamo riusciti a farci un’idea sufficientemente chiara in merito, ma oltre a quell’idea abbiamo anche acquisito consapevolezza da questa esperienza?

Se vogliamo attivare un vero cambiamento nel senso di garantire a tutte le persone di poter accedere in qualsiasi ambiente in sicurezza e, nel contempo, essere anche in grado di uscirne al verificarsi di un’emergenza, è necessario che tutti diventino portatori di una nuova consapevolezza verso i temi della sicurezza in cui le norme non siano viste come un impedimento rispetto le attività da svolgere, ma una risorsa per vivere meglio. Su questi aspetti la normativa tecnica è chiara e ben consolidata nel tempo e il suo rispetto porterebbe certamente a prevenire la maggior parte di queste situazioni e a ridurne le conseguenze.” 

I bambini ci insegnano

Confido molto nel ruolo della scuola che non è solo un luogo che ospita i nostri figli, ma un’istituzione che può contribuire in modo sostanziale a farli crescere verso il traguardo di cittadini responsabili: questo vale anche per gli aspetti connessi con la sicurezza. I vigili del fuoco hanno sempre dedicato una particolare attenzione agli incontri con i ragazzi, sia con visite nelle proprie sedi, sia con lezioni in classe per spiegare alcuni concetti di sicurezza, ma anche prove pratiche su come comportarsi in caso di emergenza perché l’esperienza del fare ha un valore incommensurabile. In quei momenti acquistano semplici ma utili competenze su come ripararsi in caso di terremoto (ad esempio in classe sotto il banco o a casa sotto un tavolo), oppure muoversi a ridosso del pavimento (il cosiddetto “passo del coccodrillo”) quando il fumo di un incendio impedisce di stare in piedi, solo per fare alcuni esempi. Conoscenze che i ragazzi possono portare a casa per condividerle con gli amici e i famigliari.”

stefano bambini“Poi l’educazione su questi aspetti può consolidarsi con le simulazioni di emergenza che ogni scuola deve attuare periodicamente secondo le indicazioni della normativa di sicurezza. Incontrare i ragazzi è sempre un’esperienza entusiasmante, capace di attivare percorsi che forse prima non avevi considerato, abituato come molti a parlare supportato da competenze tecniche talvolta poco mediate con un linguaggio che sappia arrivare all’interlocutore, ma con i bambini difficilmente questo accade perché sono loro a dettare le regole dell’incontro con domande che richiedono risposte attente e un linguaggio adeguato. La loro non è mai una curiosità superficiale, vanno a fondo su tutte le questioni e spesso le loro osservazioni diventano fonte di novità inaspettate.”

“Durante un incontro abbiamo chiesto loro , ad esempio, cosa fa il vigile del fuoco?

La risposta in un disegno dei bambini di una scuola primaria: salva, aiuta, rassicura, rincuora, consola, spegne, tranquillizza, sorride, rischia, soccorre.”

“Anche i loro racconti restituiscono concetti con un linguaggio ricco e colorato, ma chiaro. Così Antonio, bambino con sindrome di Asperger incontrato in una scuola elementare, descrive le prove per fuggire sotto il fumo con il “passo del coccodrillo”: “mi è piaciuto di più fare la lucertola così insegnerò a mamma e papà a scappare dal fumo del gas come i soldati fanno sotto il filo spinato”. È sempre lui, poi, a raccontare dell’esperienza di una prova di evacuazione evidenziando la necessità di contenere il panico muovendosi assieme ai compagni di classe: “scappare in fila indiana e non come gli gnu in preda al panico è importantissimo per non essere intrappolati dal pericolo”. Possono far sorridere queste modalità espressive proposte da un bambino, ora cresciuto e diventato uomo, ma sono così chiare che talvolta le uso per spiegare certi concetti anche agli adulti. In quell’incontro abbiamo imparato entrambi qualcosa di nuovo. “

“Esperienze del genere sono particolarmente formative e aiutano a ridimensionare il modo con cui gestisci le conoscenze, facendogli acquistare una dimensione nuova e stimolante. Alla fine, comunque, sono loro a darti il voto accompagnato magari da un emozionante applauso oppure dalla richiesta di un autografo. Semplici gesti che diventano merce d’incommensurabile valore.”

 “Penso di non essermi mai soffermato a parlare con i miei figli degli interventi a cui ho partecipato, ma d’altra parte sono praticamente cresciuti in questo mondo. Da piccoli giocavano con i figli degli altri colleghi circondati da uomini e donne in divisa pronti ad uscire con le sirene spiegate, automezzi colorati di rosso e racconti di interventi da cui spuntavano episodi che inevitabilmente strappavano un sorriso perché gestiti con attenzione da genitori che a loro volta sapevano cosa dire e cosa no. Per questo non ho mai avuto la necessità di spiegargli cosa facesse loro padre al lavoro. Ora sono cresciuti e hanno cominciato a tracciare la propria strada, a seguire i propri sogni e propensioni, alcuni di quei bambini con cui giocavano sono diventati a loro volta dei professionisti del soccorso, altri no, tra cui i miei figli.

stefano estintore“A volte rifletto su questo, giungendo alla conclusione di non essere stato abbastanza capace di trasmettere a loro la bellezza e le emozioni di questo lavoro, ma poi ricevo mille conferme sulla loro sensibilità in merito ai temi che mi stanno a cuore, dalla prevenzione al soccorso: scopro con curiosità e interesse che ne parlano spesso, anche se con il loro linguaggio. Talvolta ricevo un messaggio in cui mi chiedono dove sta andando il mezzo con sirene e lampeggianti accesi che hanno visto sfrecciare per strada, è così che trovo una semplice risposta a questi miei dubbi di padre e tiro un sospiro di sollievo. D’altra parte siamo archi e loro frecce, giusto?”

“Alla fine, comunque, se mi chiedessero di fare un’esperienza nei vigili del fuoco, o me lo chiedesse un loro amico, non esiterei ad assecondarli perché considero importante poter sperimentare il soccorso, ma più in generale l’aiuto agli altri. Probabilmente guadagnerebbero un punto di vista particolare sulla responsabilità che ognuno di noi ha nella tutela degli altri, ma è anche vero che per questo basta essere un cittadino consapevole e rispettoso del mondo che lo circonda.”

stefano vigile bambina

La traccia volante: Quando l’imperatore Augusto istituì la Militia Vigilum Regime, i Vigili del fuoco dell’antica Roma, coniò per loro il motto “Ubi dolori ibi vigiles” (dove c’è il dolore ci sono i vigili).   Il nostro lavoro è centrato proprio sull’azione di aiuto, sull’incontro con le persone che si trovano in difficoltà e sul ruolo di mediatori con il loro dolore. In certe situazioni, dove le condizioni ambientali impediscono ad altri di accedere perché ne andrebbe della propria incolumità, è la mano tesa di questi soccorritori l’unico aggancio alla vita e questo talvolta ha il peso di una responsabilità incommensurabile che tutti ci sentiamo addosso e che non vogliono assolutamente tradire. Questa vicinanza con il dolore ha, quindi, radici antiche. L’orgoglio, però, non è vanità, ma consapevolezza di fare la cosa giusta e nel modo migliore, per questo cerchiamo di integrare la professionalità con il cuore, sarebbe difficile altrimenti fare questo lavoro.

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